Mio umore, mio cuore

Oggi non si esce. Oggi si resta qui…dentro.

Non faccio caso nemmeno al tempo che fa, tanto non esco, non l’ho programmato e mi chiedo se ci sia un posto che potrei raggiungere dove liberare questa voglia di correre e sfogarmi che ho.

E’ una specie di ossessione, non esco ma rimango a pensare costantemente al fuori, evidentemente oggi è il giorno che devo fare i conti con qualcosa. Cosa c’è qui fuori che non ho visto altrove? Dove mi porta questo fuori? Dove voglio andare?

Mentre ci penso faccio caso ad una sorta di oppressione, i vestiti di cui vorrei liberarmi me li sento aderenti, eppure non lo sono, il tempo anche è cupo: mi sembra di avere una specie di tappo sulla testa, come se il cielo fosse un coperchio e io fossi dentro ad un a scatola…mi chiedo distrattamente chissà quando succederà che questa scatola si scoperchierà e se usciranno quei pupazzi a molle che per la loro impetuosità ti fanno sobbalzare.

Appunto, la comunità è una residenza provvisoria, un progetto per uscire dalla struttura motivati e fortificati, una specie di microcosmo che riproduce i meccanismi del “fuori da qui” in piccolo. Il tempo a volte scorre lento e sono così abituata ai cambi di stagione, ai cambi d’umore, ai miei cambi d’abito e di trucco per dissimulare la mia…la mia cosa? la mia tristezza. Sono triste perché vorrei essere altrove. Vorrei essere più avanti rispetto al percorso che sto facendo solo per illudermi che io possa uscire in ogni momento da ogni situazione.

Non faccio caso nemmeno al tempo che fa, tanto non esco, non l’ho programmato e mi chiedo se ci sia un posto che potrei raggiungere dove liberare questa voglia di correre e sfogarmi che ho.

E’ una specie di ossessione, non esco ma rimango a pensare costantemente al fuori, evidentemente oggi è il giorno che devo fare i conti con qualcosa. Cosa c’è qui fuori che non ho visto altrove? Dove mi porta questo fuori? Dove voglio andare?

Mentre ci penso faccio caso ad una sorta di oppressione, i vestiti di cui vorrei liberarmi me li sento aderenti, eppure non lo sono, il tempo anche è cupo: mi sembra di avere una specie di tappo sulla testa, come se il cielo fosse un coperchio e io fossi dentro ad un a scatola…mi chiedo distrattamente chissà quando succederà che questa scatola si scoperchierà e se usciranno quei pupazzi a molle che per la loro impetuosità ti fanno sobbalzare.

Appunto, la comunità è una residenza provvisoria, un progetto per uscire dalla struttura motivati e fortificati, una specie di microcosmo che riproduce i meccanismi del “fuori da qui” in piccolo. Il tempo a volte scorre lento e sono così abituata ai cambi di stagione, ai cambi d’umore, ai miei cambi d’abito e di trucco per dissimulare la mia…la mia cosa? la mia tristezza. Sono triste perché vorrei essere altrove. Vorrei essere più avanti rispetto al percorso che sto facendo solo per illudermi che io possa uscire in ogni momento da ogni situazione.

I compagni della comunità sono tutti qui, siamo pochi, la relazione tra noi è spietata: che di più e chi di meno, a turno, sente il bisogno di farsi conoscere meglio, legati a doppio filo come siamo in questo circuito comune e il lavoro che ci attende e ci ansima contro così come noi lo percepiamo, con l’obiettivo di prepararci ad un futuro migliore, indipendente e sano rispetto alle motivazioni che ci hanno portato qui.

Non è facile trovare la compagnia giusta qui, i nostri Gruppi ci aiutano anche a sbilanciarci e poi le avventure del giorno che ci vedono insieme si riempiono di nebbia durante il sonno, il momento che usiamo per dissipare le giornate mentre la notte ci traghetta al giorno dopo insieme ai doveri che ci attendono.

A volte durante i gruppi ci sono delle sorprese, il Gruppo Terapeutico è da stimolo alla formazione dell’identità di gruppo e questo è tangibile con il tempo che passa e ce ne rallegriamo e mi sembra che ciò possa succedere solo a chi ha cuori pieni di cose da svelare, a chi ha orecchie per ascoltare e occhi per guardare segni che si stanno per accendere.

Ecco, ora il mio cuore batte più forte rispetto a quando ho iniziato a scrivere questo pezzo, ci ho caricato dentro tutte le munizioni che ho accumulato nei giorni appena trascorsi e, come chi si nutre dei propri voli, mi godo un’emozione tutt’ancora da colorare nonostante i colori possa già metterli su tela così come li ho immaginati oggi, con il sole.

Daniela Ranucci

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